3° CONCORSO ARTISTICO LETTERARIO "IL VOLO DI PEGASO"

 

Raccontare le malattie rare: parole e immagini

 

Il tema del concorso 'Le voci del silenzio'.  

 

"E' di silenzio, infatti, che a un certo punto vive il dolore. Soprattutto quando ha smesso di cercare, quando il labirinto dell'attesa diventa una casa in cui vivere e convivere. Senza diagnosi, senza terapia, senza che sia riconosciuta la propria malattia può restare solo il silenzio. Ed è per questo che nasce la sfida: farlo diventare parola, figura, immagine, ma soprattutto un gancio per restare ancorati alla vita di tutti."

 

Quest'anno alcuni dei nostri "amici" hanno partecipato alla terza edizione del concorso e tre lavori sono stati scelti e pubblicati dall'Istituto Superiore di Sanità.

Complimenti per le belle emozioni che ci hanno trasmesso con i loro lavori.

Un racconto "La malata immaginaria", una poesia "Voci di solitudine" ed una fotografia "L'onda di speranza".

 

 

SEZIONE NARRATIVA:

 

"La malata immaginaria"

 

Dopo il solito lungo tragitto scendo a fatica dall’auto e ora mi arrampico affannosamente sulle scale. Come al solito mi sento appesantita e stanca e anche i gradini diventano dei nemici. Ripenso alla mia infanzia, io e mio fratello ci rincorrevamo su e giù per quei scalini, ridendo. Mi sembrava di avere le ali. Ora mi sento così vecchia e spenta. “Come è possibile”, mi chiedo, “a trentacinque anni?”. Me lo domando spesso ma non so darmi alcuna risposta. Nessuno finora mi ha detto il perché di tutto questo.

 Entro in casa con la mia chiave, lentamente. Sento la voce di zia Rosa che chiede a mia madre: “Come sta Stefania? So che dovrebbe venire a trovarti in questi giorni….”Lei risponde duramente: “Come vuoi che stia? Ogni volta mi sembra ancora più grassa e triste. E, non guardarmi così. Non sto esagerando. Ti ricordi com’era bella il giorno del suo matrimonio? Era un fiore. Poi i figli non sono arrivati e lei si è abbruttita. Non è riuscita nemmeno a tenersi il marito! Mica per il figlio che non arrivava (ssssser gli uomini si sa i bambini sono per lo più un fastidio), ma perché si era sformata e le era venuta persino la barba! Era sempre così ansiosa e depressa. Lo è anche adesso. E’ mia figlia e io le voglio bene. Sai quante volte le ho detto, calmati un po’, mangia di meno, vai dall’estetista e sorridi, non vedi come ti sei ridotta?”

Ascolto le sue parole e mi fanno male. Riesce sempre a ferirmi. Non sono ancora riuscita ad abituarmi al suo cinismo. Non era così quando c’era papà. Non è mai stata tanto sensibile e attenda, ma lui subentrava nei suoi lati manchevoli. Emergevano allora per lo più la sua gioia di vivere e il suo dinamismo. Era la sola mamma del quartiere che giocava a pallone con i propri figli! E noi ne eravamo fieri. Ma poi papà è morto e si è portato con sé tutto il bello di lei.

Ripenso a Marco e, come una pellicola che si riavvolge velocemente, rivedo la separazione e, prima ancora, la nostra vita insieme. Quando lo conobbi ne fui subito attratta. Era molto affascinante e ci sapeva davvero fare con le donne. Non ricordo nessuna della nostra compagnia che non fosse interessata a Marco. Ma lui scelse me. “Sei molto bella e vera e questo ti rende speciale, anzi unica”, così diceva lui. Io me ne innamorai perdutamente e lui, credo di sì, credo che mi abbia amato, almeno per un periodo. Sono stati anni felici, trascorsi a fare le cose che amavamo entrambi: le domeniche in moto, i viaggi, le serate in discoteca e, soprattutto, fare l’amore. Lì avevamo una grande intesa e quasi ogni litigio o problema veniva risolto a letto. Non ero affatto sicura che questo andasse bene, ma mi dicevo “infondo sono solo piccole incomprensioni!”. Dopo un lungo fidanzamento ci siamo sposati e almeno per i primi due anni le cose sono andate benino. Poi però ho cominciato a desiderare intensamente un figlio e dopo un po’ ho convinto pure lui. E’ stato l’inizio della fine. Una fine lenta e dolorosa.

Dopo un anno e mezzo di tentativi inutili, abbiamo fatto degli accertamenti e sembrava tutto apposto. Il ginecologo aveva detto: “Il più delle volte non c’è un motivo per il mancato concepimento. Voi del resto siete piuttosto giovani.” 

Mi ricordo che tornando a casa pensavo: “Se almeno ci fosse un problema fisico avremo fatto qualche cura e dopo io sarei rimasta incinta!”.

Nei mesi successivi non ne abbiamo piu’ parlato ma facevamo sempre meno l’amore. La nostra sintonia si era stata guastata già prima, durante il lungo periodo di rapporti programmati per il concepimento, rapporti che si erano fatti via via sempre più freddi e meccanici. 

In quel periodo ingrassai parecchio, i chili in più si vedevano nel viso e nella pancia. Già proprio sul ventre, come la vecchia cagna di mia nonna. Era stata sterilizzata prima di diventare almeno per una volta madre e quel desiderio di maternità la faceva, durante il periodo fertile, ingrassare sulla pancia, come se fosse incinta. E forse, era ciò che stava accadendo anche a me. Del resto mangiavo come al solito e non sapevo spiegarmi il perché di questo aumento di peso. Inutile dire che così non ero affatto attraente e lui mi diceva, senza mezzi termini, “devi dimagrire”. Pensavo: “Perché me lo dice? Mi sento già brutta a sufficienza. Io stessa non mi riconosco più!”. Mi sentivo sempre più frustrata e sola. Lui ad un certo punto ha smesso di sottolineare il fatto che ero fuori forma (con mio sollievo) ma, di lì a poco, ha anche smesso di chiedermi di fare l’amore con lui. Mi dicevo: “E’ un periodo. Tornerò ad essere snella e ritroverò la mia bellezza. Staremo di nuovo bene insieme e, se Dio vuole, avremo un figlio o ne adotteremo uno”. 

Ma le cose non miglioravano. Dormivo poco, perdevo i capelli e mi ferivo facilmente poiché la mia pelle si era fatta sottile. Senza parlare del mio umore altalenante. Un giorno mi sentivo euforica e il giorno dopo ero depressa. Anche in ufficio avevo problemi di concentrazione. “Sono gli ormoni”, mi dicevo. Avevo chiesto al mio medico cosa ne pensasse, volevo capire cosa mi stava accadendo, ma lui mi aveva risposto con un sorriso dicendo: “Mia cara lei è solo un po’ stressata. Vedrà che starà meglio presto.”  

Un giorno tornando a casa ho visto la sua auto. Era rientrato insolitamente presto. Quando mi ha visto mi ha detto: “Devo parlarti.” Quello che è accaduto subito dopo è un uragano che mi ha travolto lasciandomi un ricordo confuso. Le sue parole hanno avuto l’effetto di un pugno allo stomaco che mi ha fatto vomitare. Mi lasciava. Aveva un’amante e lei era incinta.

"Stefania, sei qui? Perché non mi hai chiamato?”. Stordita dai miei ricordi, invece di proseguire attraverso il corridoio verso la cucina, mi ero seduta sul divanetto d’entrata e ora mia madre si dirigeva verso di me.

“Scusa mamma, ho avuto un momento di stanchezza improvvisa e mi sono seduta.” Lei mi guarda con gli occhi mesti poi contrasta questo suo stato d’animo ribattendo: “Ancora triste? E’ già passato un anno. Devi reagire!”.

Di solito taccio, in cuor mio so che lei non capisce, ma stavolta rispondo con voce bassa “Ho detto stanchezza, non tristezza”. Lei borbotta e va verso la cucina: “Vieni ti preparo un caffè”. E’ vero, è quasi un anno. Un anno da cancellare, vissuto nel silenzio e nella ricerca di una me stessa che ormai ho perduto. Lui nel frattempo è diventato papà e lei, a pochi mesi dal parto, è già in gran forma. L’ho vista ieri per caso al supermercato… Si è presa la mia vita….

Io sono andata dalla psicologa per mesi, ma alla fine ho lasciato stare. Nemmeno lei si districava nel labirinto dei miei stati d’animo. Sono andata anche dal dietologo, dall’estetista, dal cardiologo, da un iridologo e da un omeopata senza quasi nulla risolvere. Nessuno diagnosi. Non so più cosa pensare. Sono una malata immaginaria? Non può essere, i miei disturbi sono reali! Sono forse io a crearli? Esco con qualche uomo, ma non ho più fatto sesso. Non riuscirei a spogliarmi. Sono solo amici, anzi meglio conoscenti, persone con cui si esce per parlare del più del meno, perché il mio mondo interiore appartiene solo a me. Nessuno può capire, che senso ha allora svelarsi?

In cucina trovo mia zia. Le chiedo “Ciao, come stai?”. “Mica tanto bene, ho un problema alla tiroide e ora mi tocca andare da un medico specialista che la cura. Sono spaventata. Inoltre sono sempre stata bene e non sono pratica in queste cose. Non è che puoi accompagnarmi? Tu te ne intendi di medici!”. Parla tutto d’un fiato come se mi avesse aspettato proprio per farmi questa domanda. Lei è sempre stata buona con me e, anche se ormai non ne posso più di visite, annuisco dicendo: “Non preoccuparti zia. Ti accompagno io. Fammi sapere quando hai l’appuntamento, così chiedo un permesso al lavoro.

Dieci giorni dopo siamo davanti al medico. Visita mia zia e le prescrive un farmaco da assumere tutti i giorni. Lei dice “Tutto qui? Meno male! Temevo di avere una cosa brutta!”. Io e il medico sorridiamo. Lui mi sta fissando. In realtà mi sento osservata sin da quando ho varcato la porta del suo studio. Alla fine mi dice: “E lei ha mai fatto una visita da un endocrinologo?”. Sto zitta e penso “che vuole questo? Ne ho già abbastanza dei medici!”. Incalza: “Potrei visitarla io. Basta che prenda un appuntamento con la segretaria qui fuori. La prego. Nel frattempo le ordino qualche esame ormonale.” 

Sono passati pochi giorni e sono di nuovo qui. Mi ha convinta quel suo “la prego”. Mi ha appena visitato e ora consulta l’esito degli esami effettuati. Mi chiede molte cose e lentamente rompe il muro che mi sono costruita intorno. Ora sono un fiume in piena. Gli racconto tutto. Lui ascolta in silenzio e alla fine mi dice: “Lei non è né esaurita né una malata immaginaria. Il suo è un caso evidente di ‘morbo di Cushing’. Si tranquillizzi, le cure esistono, si deve solo affidare a me. Credo che la mia guarigione sia iniziata in quel momento: finalmente qualcuno mi capiva!

 

 

 

SEZIONE POESIA:

 

"Voci di solitudine"

 

Soli,

così ci sente,

soli

a chiedersi perché a noi,

perché proprio a lui…

soli,

in un giorno qualsiasi della propria vita

il mondo va al rovescio

e diventa buio,

cerchi, chiedi, ovunque…

soli,

l’anima si perde

a volte la ritrovi lontana

mentre vaga tra i sorrisi degli amici

e le lacrime…

giorno dopo giorno, paura dopo paura

si impara l’ABC del dolore e del morire

e il peso insopportabile del sapere

 

 

SEZIONE FOTOGRAFIA:

 

"L'onda di speranza"