4° CONCORSO ARTISTICO LETTERARIO "IL VOLO DI PEGASO"

 

Raccontare le malattie rare: parole e immagini

 

"Cos’altro è la malattia, infatti, se non un lungo percorso sul quale si snoda il proprio vissuto e sul quale si sospende tutto? Forse un sottile filo da equilibrista su cui riscrivere la propria storia e inventarla da capo. E’ sempre un cammino la malattia, e anche quando sembra arrestare tutto, in realtà, ci catapulta su strade difficili, ripide, mai asfaltate e sempre ciottolose, ma costretti a camminare. Ed è il racconto in parole, musica o immagini che chiediamo di questo viaggio, la fotografia di queste strade, sulle quali è possibile incontrare anche la speranza".

 

Anche quest'anno alcuni dei nostri "amici" hanno partecipato alla quarta edizione del concorso e tre lavori sono stati scelti e pubblicati dall'Istituto Superiore di Sanità.

 

Un racconto "La mia scalata", una fotografia "Buio e cielo" ed una canzone "Una strada nuova".  

 

 

SEZIONE NARRATIVA: 

"La mia scalata" 

Il nostro cammino inizia già da dentro la pancia della nostra mamma, quando iniziamo con i nostri piedini a calciare per voler uscire da quel posto strano e oscuro, vogliamo uscire per conoscere il mondo, vedere, sentire, capire, vivere insomma. Inizia così la nostra vita! Eh sì, inizia proprio così, ma, non è per tutti una gioia la nascita. Forse per qualcuno era meglio rimanere in quel posto oscuro dove però ti sentivi al sicuro, dove eri protetto da tutto e da tutti, ed io sono stata tra quei “qualcuno” che certe volte ha pensato “forse era meglio non conoscere il mondo!”. Ho imparato a fare i miei primi passi molto presto, già a sei mesi camminavo da sola, non portavo più il pannolino perché sapevo già dire pipì, ero già un piccolo caso “raro”, ero l’orgoglio dei miei genitori che con amici e parenti si vantavano, in senso buono, di avere un fenomeno in casa e dicevano: “Chissà quanta strada farà e dove arriverà”. Eh sì, ne ho fatta di strada, avevo 17 anni e non riuscivo ancora a immaginare bene il mio futuro, ma sapevo quello che avrei voluto, un lavoro, una casa, una famiglia però, l’unica cosa alla quale non avevo pensato era… la salute! A 17 anni non pensi al dolore, alla sofferenza, ma solo alle gioie, ai divertimenti. Mi sbagliavo, perché di lì a poco sarei stata brutalmente sbalzata in un’altra realtà, mi sarei ritrovata lungo un cammino ben difficile da affrontare, un cammino pieno di “mostri” che non mi avrebbero dato tregua! Quella sarebbe stata la mia vita e dovevo per forza percorrerla, all’inizio con l’incoscienza della mia gioventù, poi con la consapevolezza di donna, ora con la forza e la determinazione della mia maturità! Ho raggiunto 50 anni e mi porto sulle spalle più di 30 kg di cartelle cliniche, medici, esami di ogni tipo, mesi passati in ospedali sperando sempre che fosse l’ultima volta. Invece, l’ultima volta solo Dio sa quando sarà! Non voglio qui dare una lezione di vita, ma vorrei con la mia esperienza, riuscire a dare un po’ di speranza e soprattutto fiducia a chi sta soffrendo soprattutto psicologicamente e moralmente e che crede di non poter più affrontare la strada che ha davanti. Le mie camminate verso il futuro si sarebbero rivelate fatte solo di salite. Con l’andar degli anni e degli eventi, mi sono immaginata come una “ciclista scalatrice”, quella che affronta le montagne, quella che deve contare solo nelle proprie gambe, ma sa che prima o poi, anche se con tanta fatica, supererà tutte le tappe e arriverà in cima, e dopo anche per lei ci sarà la discesa. Ecco, io andavo avanti a tappe e, tutte avevano un nome. La prima si chiamava “Sindrome di Stein-Leventhal” e mi portò a 17 anni a una resezione delle ovaie. La seconda è stata “l’ipertensione con attacchi di panico” e a 20 anni arriviamo alla terza tappa, dove per alcuni anni mi sono dovuta fermare perché i medici non capivano che cosa avevo, ma soprattutto io che per 2 anni entravo e uscivo dall’ospedale cercavo di capire quello che mi stava succedendo. Il mio corpo cambiava giorno dopo giorno, mi stavo trasformando, mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo più. No! Mi dicevo quella non posso essere io, il mio peso aumentava a vista d’occhio, perdevo tutti i capelli, i denti si spezzavano, i peli sul viso, la gobba dietro al collo e la stanchezza che mi uccideva e il pianto era ormai la mia unica consolazione. Mi sentivo sola, mi vedevo orribile, credevo che nessuno potesse capirmi e anche se ero circondata dall’affetto e dall’amore dei miei cari, mi chiusi in me stessa dove il mio unico pensiero era di essere l’unica persona sulla terra che soffriva. Meglio morire, pensavo e pregavo Dio che mi prendesse con sé perché così non volevo essere. Poi però all’improvviso nella mia disperazione iniziai a guardarmi intorno con occhi diversi e mi accorsi di “loro”: bambini, giovani, anziani, che stavano peggio di me, dove la sofferenza non gliela leggevi negli occhi ma solo nel fisico, “loro” sorridevano sempre, avevano parole di speranza e fiducia per tutti, “loro” che sapevano già di non avere più nessuna strada da percorrere continuavano a camminare verso la vita! M’insegnarono con i loro sorrisi a tirare fuori quella forza che si trova dentro ognuno di noi. Non era più importante il mio aspetto esteriore, ma quello interiore, come ero fatta io dentro nessun “mostro” poteva modificarlo. Così iniziai la mia “nuova vita” e, il tanto temuto ospedale divenne per me la mia “seconda casa”, dove avevo tanti amici da aiutare, da far sorridere e, soprattutto dovevo cercare di trasmettere in loro la fiducia per il futuro, a combattere e a non arrendersi mai! Imparai così a non pensare più solo a me stessa, ma a cercare di dare agli altri quello che era stato dato a me, la voglia di “vivere!” Finalmente la terza tappa si sbloccò, l’esito fu “Malattia di Cushing” e chi la conosce sa quanto sia devastante nel fisico e nello spirito. Allora pensai: “che bello ora la distruggiamo e tutto torna come prima!” Parliamo però di 20 anni fa quando questa era ancora una malattia rara e poco conosciuta e all’epoca di cure quasi non ce ne erano. A me all’epoca restò solo una strada, l’intervento, e questa fu la mia quarta tappa. Non fu tutto facile, passai dei momenti terribili con mille complicazioni, mille dolori, ma non mi sono mai abbattuta, e, infatti vinsi la mia battaglia! Ecco dopo questa tappa iniziò per me una corsa in discesa e mi sembrava di volare, ero tornata come prima, avevo sconfitto un “mostro!”. Non sapevo però, che dopo pochi anni un’altra tappa avrei dovuto affrontare, la quinta. All’improvviso una notte il mio corpo si paralizzò completamente, l’unica cosa che continuava a funzionare in quel momento era la mia mente. Non nego, che in quel momento pensai: “ecco è arrivata la mia fi ne!”, ma poi, in me scattò di nuovo la voglia di combattere e, pensai: “va beh, se anche non potrò più muovermi... almeno la mia testa ancora funziona, così potrò parlare e rompere le scatole a chi dovrà starmi vicino per curarmi”. La diagnosi fu “demielinizzazione con lesioni midollari a livello dorsale e cervicale”, in parole povere l’anticamera della sclerosi multipla! La paralisi fu temporanea e quando passò, mi dissi: “Sono fortunata, c’è chi sta peggio, almeno io per il momento ancora cammino!”. Pensavo che, dopo questa nuova malattia avrei terminato il mio cammino verso… altre tappe. Invece mi sbagliavo, avrei dovuto affrontare altre salite. Tre anni fa sesta tappa. La mia vista inizia farmi degli strani scherzi e dopo vari esami la diagnosi fu “corioretinopatia con distacco sieroso a entrambi gli occhi”. Subito dopo la settima tappa, (doccia fredda, freddissima) “recidiva di Cushing”, anche quella era ritornata! Due anni fa sono stata rioperata all’ipofisi. Dopo 5 mesi dall’intervento la mia ottava tappa. All’improvviso non avevo più l’equilibrio, tutto girava, non potevo più muovermi da sola, diagnosi “neuronite vestibolare sx” in poche parole il mio nervo dell’equilibrio sx, colpito da un virus, si era danneggiato e non avrebbe più funzionato! Arrivo alla nona tappa, dal mio secondo Cushing non sono guarita, anche se ho fatto la radioterapia e una cura farmacologica e sapete perché? Perché nel mio cammino mancava ancora la decima tappa! E, sorpresa (come nell’uovo di Pasqua) mi sono stati diagnosticati in ambedue i surreni due begli adenomi secernenti che continuano a produrre cortisolo a livelli elevatissimi, perciò unica soluzione, eliminarli! “Bene!, ho detto ridendo al medico quando ho ricevuto la notizia, ora sono arrivata in cima alla mia montagna!”. Non so se ad oggi sono arrivata in cima, voglio però pensare di sì e, tra un po’ inizierà anche per me la mia discesa. Ecco, a mamma e papà voglio dire, GRAZIE per avermi dato la vita! Questa è stata la mia strada, mi ha portato a 50 anni a essere ancora qui con voi e con tutte le persone che mi vogliono bene, ma non dovete pensare che questo mio cammino sia stato solo verso le malattie, le sofferenze e, perciò così terribile, perché per me non è stato così! Tutti questi “mostri” che ho dovuto, e dovrò ancora affrontare, mi hanno portato ad avere più forza dentro di me a cambiare il mio modo di vivere, ad amare tutto quello che mi circonda e ad accettare con un sorriso quello che ogni giorno la vita mi riserva, ma soprattutto ho imparato a capire e ad aiutare le persone che soffrono, perché, anche se noi stiamo male, dobbiamo sempre guardarci intorno “c’è sempre qualcuno che sta peggio di noi”. Perciò non lamentiamoci, anche se soffriamo, diamo un sorriso, una parola di ottimismo, una parola di speranza e fiducia a chi soffre, questo aiuta loro, ma aiuta soprattutto noi a camminare verso la vita!

 

SEZIONE FOTOGRAFIA:

"Buio e cielo”

La fotografia è visibile nell'allegato

 

 

 

 

 

SEZIONE MUSICA:

 "Una strada nuova"

 Paura, ansia, emozioni che rischiano di travolgerti. Assieme a limiti e ferite la malattia, strada facendo, ha risvegliato nell’autore talenti nascosti, energie insospettate e la voglia di aprirsi agli altri continuando a sognare.